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La prima volta che ho visto La guerra dei Roses è stato in TV, su Canale 5, con i miei genitori, che non credo l’abbiano apprezzato molto. Io, che avevo circa dieci anni, rimasi sconvolta dal fatto che una storia d’amore, per quanto rocambolesca, potesse non avere un lieto fine. Lui l’amava, pensavo io. Certo, lui le fa delle carognate epiche (il “pesce al piscio” regna), ma le dice anche che lei è la metà della sua anima (e ora, con il senno del poi, questa frase mi dà i brividi), e allora perché lei non si rimette con lui? Perché lei lo rifiuta anche in punto di morte?

Con il passare del tempo, La guerra dei Roses è diventato uno dei miei film preferiti, uno di quelli che ho riguardato più spesso, battuto sicuramente da Il Padrino parte II e pochissimi altri; e questo film adesso mi piace proprio perché lei non si rimette con lui, e perché lo rifiuta anche in punto di morte. Lui e lei sono Michael Douglas e Kathleen Turner, la coppia bella, affiatata, ironica e avventurosa de All’inseguimento della pietra verde e Il gioiello del Nilo. Adoravo quei film e adoravo loro, e adoravo anche Danny DeVito, lì comprimario cinico e comico, qui regista esattissimo e coro greco ghignante.

Le visioni aumentano, e lo spasso con esse: la fine che fanno i rispettivi animali domestici (Tito Andronico docet), il succitato pesce al piscio, lei, che imparo a riconoscere come Barbara, che si dichiara felice all’idea che lui, in seguito a un malore, potesse essere morto, e lui, Oliver, che per dispetto le taglia i tacchi, e poi l’avvocato Gavin, il personaggio interpretato da DeVito, collega e amico di Oliver, che ci racconta la storia e la morale della stessa, un divorzio che alla fine è un bagno di sangue come quasi tutti i divorzi, solo un po’ più esplicito.

Ma quello che scopro, nella vita come nei film, è che certi rapporti partono guasti fin dall’inizio, solo che nei racconti classici ci si ferma al culmine della passione e non si va a esplorare oltre, ovvero quando gli obbiettivi di coppia sono tutti raggiunti (i figli, il successo professionale di Oliver, il nido perfetto di Barbara) e cominciano i problemi, soprattutto se non ci si rende conto che non si è amato l’altro, ma solo il modo in cui ci ha appoggiato nel raggiungere quello che noi era importante o che credevamo tale, e che talvolta, una volta che pensiamo di aver raggiunto tutto, in realtà non abbiamo niente; e, se ci pensiamo un attimo con lucidità, questa cosa era chiara fin dal primo incontro.
Come accade a Oliver e Barbara Rose.
E qui vado nel dettaglio: l’incontro tra Oliver e Barbara: se hai dieci anni è romanticissimo, se ne hai venti e credi che il grande amore (ma anche uno piccolo) parta così vuol dire che ci sono dei grossi problemi.

Siamo a Nantucket, minaccia una pioggia di quelle serie, vediamo Barbara, bellissima e sorridente, con una valigia in mano, perché sta per partire dall’isola; prima si reca in un tendone dove sta per avere luogo un’asta di cimeli; la ragazza adocchia Oliver, che sta contemplando una statuetta (più avanti vedremo che la casa della futura coppia, oggetto della contesa, straripa di ninnoli dello stesso tipo di quello inquadrato in questa scena) con un libro in mano. Adesso ci concentriamo su Oliver, che ha puntato quella statuetta con sguardo da falco. Ha fiutato l’affare. La vuole.
Comincia l’asta, il banditore presenta la statuetta.
Oliver fa un’offerta.
Barbara rilancia.
Oliver la guarda malissimo, e alza la posta.
Barbara rilancia di nuovo, e sorride.
Entra in scena un terzo contendente, un signore dall’aria distinta.
Barbara tace.
Oliver rilancia ancora.
Barbara rilancia di nuovo, e si aggiudica la statuetta.
Oliver guarda Barbara, seccato.
Barbara sorride.

Siamo fuori dal tendone, ha iniziato a piovere, e Oliver raggiunge Barbara, dicendole che quella statuetta vale un sacco di soldi, molto più di quando l’abbia pagata. Barbara risponde, che non le importa, non vuole mica venderla, e aggiunge: “Ho lo sguardo lungo”. Oliver si propone di accompagnarla, le prende la valigia e le offre il suo impermeabile. Lei accetta, ringrazia, e cammina spedita dichiarando di adorare la pioggia. Anche Oliver adora la pioggia, e la segue.

I due sono passati dal lei al tu, raccontano le loro vite: Oliver è laureato in legge ad Harvard, non ricco ma brillante, lei una ginnasta né ricca né brillante, che comincia a perdere colpi perché troppo alta. Entrambi con una borsa di studio. La ragazza dà un saggio della sua bravura mettendosi in verticale davanti a lui che si ritrova ad ammirarle le gambe con aria golosa; poi Oliver la guarda come prima ha guardato la statuetta, e dichiara: “Adoro Nantucket”.
Tutto questo avviene in un cimitero, in mezzo alle tombe, in un fiorire di musica zuccherosissima.
Un suono richiama l’attenzione di Barbara, è la sua nave che sta per partire, allora dà un bacio frettoloso a Oliver e corre verso la nave, e Oliver la insegue chiedendole il suo nome e dicendole che gli è venuta in mente una bellissima idea.

Ecco, questo è l’inizio di tutto, una conoscenza che Oliver definirà fulminante e che Gavin commenterà asserendo che i due non avevano via di scampo, con chiarissimo riferimento alla conclusione della loro storia.
Un ninnolo facile a rompersi, chiaramente già crepato in origine, destinato ad essere distrutto come tutto il resto.

(Chiara Lecito)