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“Il libro è caldo, il film è freddo. Il libro finisce nel fuoco, il film nel ghiaccio” (S.King)

A qualsiasi amante dell’Orrore piacerebbe intrattenersi e chiacchierare con lo scrittore che viene universalmente definito il Re di quel genere. Bene, gente! Io ci sono riuscito. L’ho cercato sulle Yellow Pages americane, provincia del Maine, alla categoria “Very very Big Writers” e, dopo aver disturbato al telefono 178 suoi omonimi, finalmente ho chiamato quello giusto, mi ha risposto e ho intavolato con lui un bella e lunga conversazione stile botta e risposta.
Come l’ho trovato? Incuriosito, a volte perplesso, spesso infastidito dalle mie parole o forse dal mio inglese tragico ma comunque sempre paziente nel rispondere alle argomentazioni accalorate di un giovane fan. Sì, perché gli ho detto di avere 27 anni, come Jim Morrison e Janis Joplin.
Finalmente ho avuto un po’ di tempo e calma per trascrivere il testo di quella lunga e memorabile intervista. Lo trovate qua sotto.
Amici miei, c’è però una nota dolente: per un inconveniente tecnico causato dall’obsolescenza mia e del mio pc (maledetto Windows Millenium Edition!), la traccia audio delle risposte del Re dell’Orrore si è irrimediabilmente compromessa e quindi niente, resto solo io con i miei pensieri e le mie parole. Per questa volta perdonatemi. Comunque, credetemi, anche se ve la propongo monca, è stata un’intervista intensa, inumana, fantasmatica. Eccola.

– Buongiorno Mr. King, piacere di conoscerla e grazie per concedermi un poco del suo tempo prezioso.
– …
– Sì. Vernazza, come una delle Cinque Terre, c’è mai stato? Mi perdoni, la zeta si pronuncia con un suono sordo aspro, come “terzo, stazione, zappa”.
– …
– Vabbè, fa niente, una volta sentii in TV come voi pronunciate Niagara Falls e quindi va bene così.
– …
– Giusto, cominciamo. Faccio parte della redazione (?) di Mr. Hyde Frammenti, in soldoni scriviamo pezzi su film horror, noti e meno noti, filtrandoli attraverso i nostri ricordi personali. Una narrazione gotico-intimista, se posso permettermi. Siamo su Facebook e abbiamo anche un sito-archivio con già oltre quaranta pezzi. In futuro sentirà molto parlare di noi e…
– …
– Sì, mi sbrigo, promesso. Mr. King, mi interessa molto ragionare con lei sul fenomeno Shining e sul rapporto tra il suo romanzo e il film diretto da Stanley Kubrick. Confesso che la sera in cui assistetti alla proiezione del film al cinema fu un’esperienza emozionante e coinvolgente. Era il 1980, l’anno in cui conobbi quella che poi sarebbe diventata la Vernazzova, ma per fortuna io non credo alle coincidenze. Recentemente ho letto che all’uscita del film lei non rilasciò commenti o dichiarazioni al riguardo. Solo in occasione di un’intervista a Rolling Stone lei fu molto critico, oserei dire caustico, sulla regia di Kubrick. Era il 2014, ben trentaquattro anni dopo! Ce ne ha messo del tempo? Ciò nonostante Shining-il film lo ha citato benevolmente più volte in suoi romanzi successivi, quasi fosse un feticcio. Perché quelle concessioni se disprezzava l’opera di Kubrick? Amore e Odio? Oppure un omaggio consapevole a quello che è diventato un film di culto della storia del cinema? Per non parlare delle infinite citazioni e dei meme che ne sono scaturiti.

Shining ebbe due candidature ai Razzie Awards, per il regista (S.Kubrick) e per l’attrice (S. Duvall)

– Mi scusi, ha ragione, chi sono io per. Mi soffermo ancora per un attimo sulle sue feroci critiche. Lei disse in quell’intervista: «È un film freddo e io non sono una persona fredda. La gente ama i miei libri perché sono caldi, accoglienti, dicono al lettore: voglio che tu prenda parte a questa storia. Il film invece è molto distaccato, guarda ai personaggi come fossero formiche in un formicaio, li studia da lontano e con condiscendenza dice: non sono carine queste formichine? Guarda che cose interessanti che fanno!». Ecco, le sue parole mi hanno ricordato una frase di David Lynch, questa: «Mi sono accorto che se lo guardiamo un po’ più da vicino, questo mondo meraviglioso è  tutto un brulicare di formiche rosse». Ricorda la scena iniziale di Velluto blu, vero?
– …
– Ah ah ah, non avevo dubbi. Riprendiamo da quelle formichine smarrite nell’immenso formicaio dell’Overlook Hotel. Quell’extra large ispirò in me – e penso in molti altri spettatori – un forte smarrimento, un senso di paura verso un genius loci malvagio infiltratosi tra quelle pareti, tanta era la tensione che trasudavano, un orrore illuminato dalla luce elettrica, alla faccia dei goticismi e delle creature della notte.
– …
– Per carità, non voglio insegnarle niente, resto comunque perplesso sul suo giudizio del film, che sarebbe freddo e distaccato. Credo invece che siano caratteristiche positive, insieme a un’altra: l’orrore – o meglio, l’inquietudine – ti coinvolge subito, sin dai titoli di testa, con quella musica funebre, che accompagna la ripresa a volo di uccello sul viaggio della famiglia Torrence, in auto verso l’hotel sulle montagne, attraverso una natura che non riesce a essere avvincente, perché presagisce una inconsolabile pena, un  funesto destino.
-…
– Ha ragione, Mr. King, a dire che nel film il personaggio di Jack Torrance sembra un pazzo  fin da subito, – lei dice “rovinando tutto” –, che Nicholson non fa altro che riprendere i suoi personaggi da biker anni Sessanta, come in “Angeli dell’inferno sulle ruote”. Certo, un po’ come Clint Eastwood dei western e dei polizieschi, espressivo come un’urna cineraria, il primo Nicholson ha interpretato parti da fuori di testa, semplificando. Non è però eccessivo prendere a esempio un film del 1967, un western motociclistico davvero terra terra – pensi che me lo me lo sono persino guardato, prima di questa intervista, –  la prima volta in cui il trentenne Nicholson ebbe un ruolo di spicco? Perché citare quel brutto esordio quando ci furono dopo “Qualcuno che volò sul nido del cuculo” (più pazzo di così) o anche “Easy Rider”? A proposito di quest’ultimo film: memorabile la sua breve partecipazione nel ruolo di un avvocato alcolizzato in cerca di emozioni, che dopo aver provato “il fumo” si lancia in uno strambo vaneggiamento che prefigura quello che oggi è il complottismo che ben conosciamo.
– …
– Sì, quello sproloquio da fattone sugli alieni, che hanno basi sparse in tutto il mondo e che, da quando gli scienziati hanno cominciato a far rimbalzare i raggi del radar sulla Luna, vivono in mezzo a noi e il governo lo sa benissimo, che sono delle persone come noi, solo che la loro società è più evoluta, non hanno guerre, non hanno sistema monetario e soprattutto non hanno capi, perché ognuno di loro è un capo.
– …
– Ha ragione, mi fa piacere che anche lei lo ricordi così bene. Certo, e quando gli altri gli chiedono: “visto che gli alieni sono così intelligenti, perché non si rivelano a noi?”. Una domanda che farebbe chiunque dotato di senno, e Nicholson risponde che non possono rivelarsi a noi,  perché ciò genererebbe il panico generale. Per quella ragione il governo ci nasconde le cose, non celo dicono eccetera.
– …
– Grazie, mi fa piacere che sia d’accordo con me, che all’epoca di Shining il pubblico aveva bene in mente il Nicholson di Qualcuno volò sul nido del cuculo. Questo per me non  determinò l’inadeguatezza del ruolo di Nicholson, prevedibilmente pazzo fin da subito. Non è già inquietante di per sé la figura dell’aspirante scrittore che per cercare l’ispirazione trascina se stesso e la famiglia in un posto sperduto in mezzo ai monti? Tra l’altro, Mr. King, ho letto che lei espresse chiaramente di preferire un altro attore al posto di Nicholson, Mi pare Jeremy Irons, oppure…
– …
– Sì, se ricordo bene, invece per il protagonista del film “La zona morta” la sua prima scelta sarebbe stata Bill Murray che insomma, bravo, eh? Però. Ecco, riguardo queste intromissioni in un ambito non suo, le chiedo con il massimo rispetto: come l’avrebbe presa lei, se durante la stesura del suo romanzo IT, si fosse presentato a casa sua Stanley Kubrick, proponendole di non usare l’orribile clown perché figura fin troppo banale e di sostituirlo con, che so, Duffy Duck?
– …
– Un po’ forzata, dice? Forse ha ragione. In generale, mi sembra che sia la solita questione della fedeltà al testo di partenza, un genere di diatribe che mi sono sempre sembrate poco interessanti. Un film tratto da un romanzo non deve essere una semplice rappresentazione visiva e sonora del libro, in realtà non lo è mai e questo lo sappiamo tutti. Neppure un documentario è mai fedele alla realtà che vuole rappresentare, c’è sempre uno scarto di inverosimile o di nascosto o non detto. La rappresentazione filmica è altro da un libro, qualsiasi esso sia, ha una sua vita e una sua autonomia, soprattutto quando alla regia c’è un grande del Cinema. Lei lo sa bene, ci sono state sue sceneggiature e adattamenti di libri suoi che la produzione ha cassato e ha fatto riscrivere da altri sceneggiatori. Riguardo a Shining espongo al suo parere due qualità originali del film. Durante il suo svolgimento, probabilmente in una seconda visione, un occhio attento nota che le scene mostrano spesso molti elementi contrastanti: incongruenze, errori voluti, ingressi e uscite sbagliate, ambienti esigui, ristretti, alternati a spazi enormi. In questo modo Kubrick voleva generare spaesamento e smarrimento nello spettatore, come se lo volesse trascinare in quei corridoi con quella moquette geometrica che ben conosciamo. Potrei chiamarla la complessità visuale delle piccole cose. Scene e sensazioni che un libro non può generare, non crede? 

Tra l’altro, il labirinto è una invenzione del film, nel libro non c’è, non lo trova straordinario?

– L’altra qualità? Il finale. Iniziamo dal finale del suo romanzo. A proposito, posseggo la sua prima edizione italiana, di Sonzogno, 1978, pensi che è ricercatissima, la vendono su eBay per 120 euro: lo sa che ha per titolo “Una splendida festa di morte”? Ci può essere un titolo così insulso e traditore?
– …
– Già, Italians do it worse, parafrasando Madonna. Dunque, i finali. Nel libro, dopo l’incendio dell’Overlook, la scena si sposta altrove, in Florida. Siamo in estate, l’orrore è finito, Halloran il cuoco sensitivo è vivo ed è tornato a lavorare in un ristorante. Wendy e Danny arrivano in visita e si innesta un dialogo finale. Una scena tipo il riposo dei guerrieri. Nel film invece Halloran è stato accoppato, Wendy e Danny, sfiniti e infreddoliti, fuggono con il gatto delle nevi verso l’ignoto, nulla sappiamo del loro futuro e dei fantasmi che animeranno forse per sempre la loro vita, mentre Jack non si è affatto sacrificato per salvare il piccolo Danny, agisce come un indemoniato fino alla fine, fin quando rimane surgelato nel labirinto in un ultimo ghigno malvagio. Dopo quella scena c’è la lenta carrellata in avvicinamento a quella che è diventata una delle immagini più inquietanti e famose del cinema. Mr. King, lei dichiarò che “il libro è caldo, il film è freddo. Il libro finisce nel fuoco, il film nel ghiaccio”. Un ghiaccio che però si scioglie presto, trasferendo improvvisamente lo spettatore al 4 Luglio del 1921, in un finale che genera da oltre 40 anni stupore, teorie e interpretazioni. Concludendo, trova ancora corretto parlare di formichine in un formicaio? Un inciso: il labirinto di siepi, una invenzione del film, nel libro non c’è, non trova che sia straordinario?
– …
– Cambiamo argomento, basta Shining. Tralasciamo la miniserie del 1997 di cui lei fu autore, sceneggiatore e produttore e che avrebbe dovuto rendere “finalmente” giustizia al suo libro.
– …
– Già, non ebbe molto successo: candidata come miglior miniserie, fu premiata invece per il miglior trucco prostetico e per il miglior montaggio sonoro nella categoria “miniserie”, ma veniamo al film “Doctor Sleep”, finalmente il sospirato seguito di Shining che lei ha approvato e lodato pubblicamente.
– …
– Ha ragione, sono stato troppo severo e ammetto che quella miniserie non l’ho vista. In via generale le confermo che nel confronto romanzo-film tratto dal romanzo ha spesso vinto lei, cioè il suo libro.
– …
– Beh, mi viene in mente “Cujo”, un film davvero imbarazzante, lo vidi in tv, per fortuna, mi bastò poco per fuggire. Poi “Christine. La macchina infernale”. Mi spiace per Carpenter, alcuni suoi film sono tra i miei preferiti di sempre ma le scene in cui appariva l’auto “posseduta” le trovavo esilaranti, mentre il mio pensiero correva a “Duel”, opera prima di Spielberg, un altro pianeta in termini di tensione e perfino di ambientazione, nonostante fosse nato come filmetto per la televisione girato in soli 13 giorni. Tra l’altro i riferimenti automobilistici mi fanno venire in mente una sua celebre frase: “Shining è un’auto elegante ma senza motore”. Bene, torniamo a “Doctor Sleep”?
– …
– Ha ragione, Mr. King, sono polemico, deve riconoscere però che finora non ho criticato nessuno dei suoi romanzi, neppure. Tra l’altro ho anche molto apprezzato quando in un’intervista alla BBC ha ammesso che la qualità della sua scrittura è migliorata da quando scrisse Shining all’età di 28 anni.
– …
– Cosa ne penso di Shining-libro? Se devo essere sincero mi piacque molto quando lo lessi da giovane, decenni fa (una nota: più volte nell’intervista ho accennato a episodi personali lontani del tempo, nonostante io abbia 27 anni, per finta; Mr. King non se n’è accorto oppure è un vero signore, direi la seconda). Ho riletto da poco il suo romanzo, prima dell’intervista e devo confessarle che lo trovo un po’ verboso, con troppa aggettivazioni orrorifiche, se mi consente il termine. Al pari di lei, azzardo, forse anche la mia lettura è migliorata da quando avevo 27 anni, cioè.
– …
– La prego, non faccia caso alle mie battute. Confermo di non apprezzare molti film tratti da suoi romanzi o racconti, mentre alcuni sono delle perle. “La zona morta” è un film di Cronenberg e ho detto tutto, per non parlare di “Carrie”, ci vorrebbe una giornata intera per parlarne, solo bene, tra l’altro. Anche “Stand by me” mi colpì molto.
– …
– Ora mi sta intervistando lei e mi sento onorato. Ha detto in poche parole, vero? Ok, potrei parafrasare Fantozzi nella scena della corazzata Potiomkin ma non voglio essere così tranchant. Doctor Sleep è un pastrocchio tremendo con spezzoni e scenografie identiche del vecchio Shining appiccicati a una storia dove ci sono vampiri zingari metallari da luna park, gente che vola coast to coast col pensiero, anime aspirate come roba buona, addirittura il barista dell’Overlook impersonato da un sosia brutto di Jack Nicholson. Ora dico: era proprio il caso? Pronto, mi sente? Mr. King, c’è ancora?

Niente, deve essere caduta la linea. Peccato, non sono riuscito a discutere sull’interpretazione di Shelley Duvall/Wendy Torrance in Shining. King ne criticò aspramente la caratterizzazione piagnona, lontana dal suo ritratto originale. La stessa Duvall intervenne nella diatriba, prendendo le parti di Kubrick e riconoscendogli il merito di aver trasformato “un romanzo di serie B” in un capolavoro. Bum! Da parte sua Kubrick definì debole la narrazione di King, rifiutando qualsiasi suo suggerimento o contributo. Doppio Bum! Morale: dal letame nascono i fiori oppure viceversa. Pensatela come volete, che la vita è breve e io invecchio velocemente.
A presto!

(Romeo Vernazza)