Vox Lux (2018, per la regia di Brady Corbet) racconta della nascita e della consacrazione di Celeste (Raffey Cassidy da adolescente, Nathalie Portman da adulta), una pop star che si trova alla vigilia di un concerto epocale.
The Neon Demon (2016, diretto da Nicholas Winding Refn) mostra il percorso di Jesse, una ragazza che arriva in una grande città e aspira a diventare modella.
La prima volta che vediamo Jesse, la ragazza ha la gola sgozzata; scopriamo subito che sta posando per delle fotografie, che verranno presentate a un’agenzia che vede nella ragazza una futura star.
Celeste, invece, viene quasi uccisa da un compagno di classe nell’aula di musica. Sopravviverà, scriverà una canzone e verrà scoperta da un agente, che, suggerendole di cambiare “Io” in “Noi”, trasformerà una sofferenza intima in un dolore collettivo.
Sono lo spirito che nega continuamente
(Faust – Johann Wolfgang Goethe)
In entrambi i film, come d’altronde nella nostra epoca, i contratti hanno una rilevanza fondamentale: determinano non solo il lavoro, ma anche la condotta da tenere, lo stile di vita da seguire, le frasi da pronunciare in pubblico, cosa mangiare, con chi accompagnarsi, quali emozioni manifestare; e in entrambi i film, come d’altronde nella nostra epoca, Il venditore diventa parte di ciò che viene venduto, e la merce in vendita si fonde con chi la vende; addirittura lo sponsor sponsorizza sé stesso e il marchio diventa un qualcosa di evanescente ed estremamente pervasivo; il desiderio stesso, trasformatosi in ambizione nevrastenica e insaziabile, diventa merce di vendita, e tutto segue un movimento caotico e circolare, una nuvola di nirvana psicopatico pieno di cose che non vogliono dire niente.
Vengono in mente profili social che al confronto The Truman Show è il trionfo della discrezione, e vite da incubo che, in qualche modo strano, diventano per molti un qualcosa di assolutamente desiderabile. E, a parere di chi scrive, i film parlano esattamente di questo: di contratti talmente totalizzanti da cancellare ogni distinzione, ogni categoria, ogni cosa che toccano; il contratto stesso diventa la materia prima di sé stesso, così come il desiderio è diventato l’oggetto del desiderare.
Refn e Corbett (soprattutto quest’ultimo, che in soli due film, questo Vox Lux e L’infanzia di un capo, dimostra una lucidità di visione entusiasmante) raccontano delle favole faustiane in cui non si capisce chi sia Faust e chi Mefistofele. La parte di quella possanza che vuole continuamente il male, e continuamente produce il bene si riduce semplicemente a produrre, ma non si sa bene cosa. Addirittura, nel caso della Jesse di Refn, non fa per niente, si limita ad essere, e a incantare e avvelenare il mondo con la sua mera presenza, trasformandosi in oggetto di consumo ossessionante e tossico (nel senso letterale del termine); perché l’essere di Jesse si costruisce esclusivamente sull’essere guardata, su un plasmarsi in maniera impercettibile e infinita per farsi oggetto ancora più impalpabile, per darsi ulteriore risalto, in un meccanismo escheriano in cui non si capisce dove comincia l’individuo e dove finisce il trucco, esasperato attraverso uno stile estetizzante e patinato al massimo grado.
E Celeste? Generata da una violenza che l’ha quasi portata alla morte (ma tra i cultori della pellicola c’è chi postula che in realtà tutto il film sia un trip post mortem della protagonista), lei stessa si lega ancor più indissolubilmente a quella violenza (la figlia nata dal rapporto con un musicista “ispiratore” della strage che l’ha vista come vittima, terroristi che a loro volta compiono un attentato copiando il look della cantante), ne diventa foriera e cassa di risonanza: nel suo caso, il patto faustiano diventa esplicito (ma reale?), e Celeste attraversa tutta la sua storia imponendosi, con sbalzi di nervi, urla e pianti che rivelano una vita che la vede sì protagonista ma che è controllata da altri (la sorella che le cresce la figlia e le scrive le canzoni, il manager che le gestisce la carriera e la vita quotidiana).
La natura, con le sue correnti vitali, non opera mai nulla a giorno, a notte, ad ore determinate: essa crea con ordine ogni forma, e dirò pure che nei suoi più grandi fenomeni la violenza non vi ha nessuna parte.
(Faust – Johann Wolfgang Goethe)
Ma la cosa ipnotica di entrambe le vicende è questo niente carico di minaccia che impregna tutto. Perché le cose che accadono in entrambe le pellicole sono tante, e sono enormi, ma noi siamo attratti irresistibilmente verso il nulla che le permea. Perché questo vuoto cosmico, questo vuoto di sostanza, di idee, di sentimenti, di progettualità, questo vivere semplicemente attraversando, con passo lieve o pesante, la vita, questo porsi come presenza coerente e compatta nella sua nullità, regala un senso di pace, di armonia che va oltre l’oscurità che promette, e che illumina il mondo in cui viviamo di una luce mortifera ma materna, capace di portare, attraverso una distruzione oscura e potente, anche quella tranquillità e quella consapevolezza a cui aneliamo più o meno dall’alba dei tempi.
(Chiara Lecito)