Il giorno è sabato 5 Marzo 2022 sono le 14:15 e io, il mio compagno Cristian e il nostro amico Lorenzo entriamo al Cinema Moderno di Lucca per vedere The Batman. Ho prenotato online i posti centrali, due posti adiacenti e uno ben distanziato. Cristian e Lorenzo si mettono uno accanto all’altro perché Cristian dice che potrebbe addormentarsi (e tengo a fare una dichiarazione d’importanza centrale: Cristian è venuto al cinema di sua volontà) e io non voglio distrazioni, tipo svegliarlo se si mette a russare.
Il cinema mi piace, le poltrone sono comode e io ho il cuore in gola, perché The Batman si è rivelato uno dei film meglio venduti della storia del cinema. Dietro di noi ci sono un piccolo gruppo di ragazzi e ragazze, queste ultime chiaramente fan di Robert Pattinson e facenti parte del #TeamEdward di Twilight, che nominano spesso, mentre i ragazzi sono più interessati al film. Dal mio trono solitario li sento chiacchierare, e rifletto che anche io sono lì per un Edward, che anche io faccio parte di un #TeamEdward, anche se non è quello delle bimbe su di giri.
Il film comincia alle 14:30. Sentiamo l’Ave Maria di Schubert, e vediamo attraverso gli occhi di qualcuno che spia un appartamento. Questo qualcuno respira rumorosamente, e probabilmente è mascherato. Zoomiamo con il nostro osservatore all’interno dell’appartamento. È Halloween, e c’è un bambino che gioca con il padre, che lo abbraccia, poi il bambino esce di casa. Vediamo il padre togliersi la giacca, e lo sguardo del nostro punto di vista sale al piano superiore, che si rivela deserto.
L’inquadratura cambia, ma è chiaro che stiamo ancora adottando il punto di vista della stessa persona con cui ci siamo identificati all’inizio, che osserva il padre dall’alto per poi spostarsi lateralmente. Il padre ha acceso la televisione, e a quel punto usciamo dagli occhi del nostro osservatore per capire che il padre, che è al centro dell’inquadratura, è il sindaco di Gotham City, e lo vediamo osservarsi durante l’ultimo dibattito elettorale con la sua avversaria, Bella Reál, che capiamo essere una ragazza giovane e idealista mentre lui puzza di corrotto lontano un miglio. A un certo punto squilla un cellulare, il sindaco esce dallo schermo, e bam, appare lui, il nostro osservatore, un tipo mascherato e con gli occhiali che segue con lo sguardo un sindaco troppo occupato a osservare sé stesso e a parlare al telefono per accorgersi di lui, che continua a puntarlo. Adesso è lui al centro della scena, e quando il sindaco spegne la televisione gli salta addosso e lo colpisce ripetutamente con uno strano arnese. Il killer respira lentamente (quella maschera deve essere un inferno) e poi strappa del nastro adesivo.
Signore e signori, il primo omicidio dell’Enigmista.
E io sono in brodo di giuggiole, e torno indietro nel tempo.
È sabato, l’unico giorno in cui non passo il pomeriggio a scuola, ho sei o sette anni e mia mamma mi chiama per uscire, o andare al catechismo o cose così, e io dico più tardi, perché in TV c’è la serie tv di Batman, quella del ‘66, e il cattivo della puntata è l’Enigmista, e io l’Enigmista lo adoro.
Sono gli anni Ottanta, frequento scuola dalle suore, e lì la vita di una bimba bruttina, in carne, con la r moscia, che adora leggere e che è uno schifo negli sport non è esattamente un paradiso. Molti bambini sono prepotenti, rompiscatole e problematici, e siccome la bambina in questione è una bambina d’indole tranquilla e molto rispettosa dell’autorità, quando l’autorità in questione, ovvero una suora, le dice che bisogna perdonare chi ci fa del male come ha fatto Gesù, la bambina le crede, e lascia fare, tanto più che quando gli altri sfottono la bambina anche i genitori le dicono di sopportare (sic) e di essere più matura dei suoi compagni, di essere ancora più gentile e non essere permalosa, di stare agli scherzi, anche se uno scherzo vede la testa della bambina sbattuta contro un muro. La bambina, crescendo, sente un senso d’ingiustizia e si guarda attorno, e quando le suore dicono alla classe che le cose importanti e da ammirare sono l’intelligenza e il cuore buono non solo si rende conto che nei fatti non è così, che i peggiori soggetti sono quelli che hanno più attenzioni e i bulletti a cui tutto viene condonato, ma riflette anche che i buoni, nelle storie raccontate dalle suore, sono noiosi, antipatici e il più delle volte vincono perché hanno più mezzi, sono più belli e il è mondo dalla loro parte. Comincia a pensare che buoni sono i buoni e vincono perché è stato deciso così, che anche loro commettono ingiustizie o fanno cose sbagliate ma tutto passa in sordina, che se gli eroi si trovassero al posto dei cattivi non solo sarebbero molto peggiori dei cattivi stessi (nessuno è più bullo di un eroe acclamato dalla folla), ma, ad armi pari, probabilmente avrebbero la peggio.
Ecco, l’Enigmista s’incunea in questo confuso quanto rivelatore stato di cose, e se a sei o sette anni l’amore sboccia è perché lui è intelligente, e Batman lo sconfigge solo perché ha dei gadget e non perché è più in gamba di lui, che escogita piani raffinatissimi che saltano in aria per pure botte di sfortuna.
Di fatto, l’Enigmista incarnato dal comico Frank Gorshin non solo mi ha introdotto nel bovarismo più bieco, ma ha anche contribuito a formarmi come persona e a plasmare la mia visione del mondo e delle cose, accompagnandomi attraverso le sue incarnazioni/riduzioni animate/versioni fumettistiche per tutta la mia vita.
Andando avanti nel tempo arriviamo ai primi anni Novanta, quando uscì la prima serie animata di Batman; una serie tecnicamente e tematicamente innovativa, figlia dell’estetica burtoniana, disegnata su fondali neri; una serie che vede la nascita di uno dei personaggi più amati del mondo gothamita, ovvero Harley Quinn, che mi ha introdotto dei cattivi che non conoscevo (Spaventapasseri, Poison Ivy, il Cappellaio Matto, Due Facce, l’Uomo di Argilla) e che vede Edward Nigma/Nygma come antagonista principale in soli tre episodi, di cui ricordo con particolare piacere e soddisfazione il primo, il cui titolo originale è If You’re So Smart, Why Aren’t You Rich?.
In questo episodio Edward è un geniale ideatore di videogiochi che ha arricchito la sua azienda e il suo capo attraverso Il labirinto del Minotauro, una sorta di Escape Room che si gioca attraverso la risoluzione di enigmi. Un bel giorno, il nostro non solo viene privato della percentuale delle vendite che gli era stata promessa, ma addirittura viene licenziato; dopo aver scoperto che rivolgersi a un avvocato non avrebbe portato a grandi risultati, decide di crearsi un alter ego e vendicarsi, e così nasce l’Enigmista, che non solo fa saltare fuori tutta la faccenda, ma terrorizza il suo capo in modo tale da segnarlo a la vita, mentre vediamo in montaggio alternato Edward che si allontana sogghignando su un aereo; un finale giusto e soddisfacente come pochi, che purtroppo viene ribaltato dagli altri due episodi della serie, che vedono il nostro finire in manicomio e essere bollato come cattivo punto e basta.
L’Edward dei cartoni non ha niente a che fare con quello del telefilm: indossa un completo più sobrio, è più sottile e meno istrionico, nel complesso non ha un grande carisma, ma cielo se ha cervello, e mi piace tantissimo, l’affetto ritorna e si ravviva, in un tutto breve e molto intenso, ma la consacrazione definitiva del mio amore per Eddie viene da Batman Forever di Joel Schumacher, 1996.
Batman Forever è un film che vorrebbe riportare lo spirito della serie che mi ha cresciuta al cinema, dopo i cupissimi e malinconici film di Burton e la nerissima serie animata. Ci riesce? No. Campione d’incassi dell’epoca, stroncato da critica e puristi del fumetto per essere parzialmente riabilitato poi, Batman Forever ha avuto una lavorazione talmente disastrosa che meriterebbe un post a parte. In soldoni: Shumacher coinvolge Tommy Lee Jones convinto che siccome i due sono amici lavorare insieme sarà bellissimo, ma Jones ignora Shumacher e dichiara più volte di odiare Jim Carrey, che viene praticamente abbandonato a sé stesso e va avanti a improvvisazioni, accompagnato da una Kidman che sta lì per figura, da un Val Kilmer che si atteggia a divo e con un Chris O’Donnel che non sa dove sbattere la testa. Ne esce un film scombiccherato come pochi, ma io mi innamoro perdutamente di Jim Carrey e, come scritto prima, incido la mia passione per Eddie nel mio cuore. Il perché non saprei dirlo, probabilmente perché ci rivedo un po’ dell’esplosivo Gorshin in spandex che mi ha fatto innamorare, e perché l’interpretazione di Jim Carrey mi dà l’idea di voler creare una persona in qualche modo in profondo conflitto con sé stessa e quindi con il mondo, e io non posso non fare il tifo per lui; che poi già allora mi rendevo conto che non era una cosa che riguardava lui ma una cosa che riguardava me. Più avanti nella vita, in un periodo molto più vicino al 2022 da cui ho iniziato e al quale tornerò, leggerò, su suggerimento di un terapeuta da cui andavo verso la fine dell’università, quando una lunga crisi depressiva stava cominciando a invalidare seriamente il mio quotidiano, un libro sulla deprivazione affettiva di cui non ricordo il titolo, che a un certo punto parla dell’infatuamento e del bovarismo come mezzi che certe persone usano per riconoscere e incorporare conflitti che hanno bisogno di vedere in sé stessi, e ostacoli che hanno bisogno di superare.
Nel 2004 esce una nuova serie di Batman, la scopro qualche anno dopo, ed è un prodotto molto meno sperimentale della capostipite: gli episodi sono scritti piuttosto bene ma la grafica è mediocre, per non parlare del character design, assolutamente terrificante, che vede il Joker come un Bob Marley scimmiesco e gobbuto e l’Enigmista come un rinsecchito emulo di Marilyn Manson.
Leggo anche qualche fumetto, rivolgendomi più dalle parti Black Label che alla serie DC classica, le cui storie non è che mi facciano impazzire, ma, all’interno delle infinite scritture e riscritture, creano un passato del mio eroe abbastanza riconoscibile: abusato dal padre, bullizzato a scuola, ignorato dalle istituzioni, dimenticato dal sistema, talvolta ingannato da qualcuno che amava, Edward (che in alcuni fumetti assume anche il cognome Nashton, ripreso poi intelligentemente da Reeves) a un certo punto va fuori di testa e decide di ottenere a modo suo quello che gli spetta. La sua sfida con Batman diventa molto personale, talvolta molto vicina a un corteggiamento, e, dopo l’interpretazione di Jim Carrey nel già citato film, l’Enigmista diventa sessualmente fluido, oltre che moralmente ambiguo, non necessariamente relegato al ruolo di villain. In due albi abbastanza epici (non dirò i titoli) riesce addirittura a danneggiare seriamente il pipistrello, in una storia collabora con lui a un’indagine, e la coppia funziona talmente bene che, dopo tutta una serie di peripezie compreso un cancro al cervello e diversi pestaggi, il nostro arriva a militare dalla parte dei buoni come investigatore privato, facendo la parte del leone in Riddle me this!, una storia di Gotham City Sirens sceneggiata dal mitico Paul Dini, e in Gotham Underground, la mia storia preferita in assoluto, che gira intorno agli appalti per la metropolitana di Gotham City, dove, tra le altre cose, impariamo che a Eddie piace il sadomaso e lo vediamo invaghirsi di una tipa che lo fustiga, particolare che, unito alla passata partnership criminale con due dominatrici lesbiche, lo rende il personaggio con la vita sentimentale più vivace di tutta Gotham City. Almeno quello, dico io, dato che per il resto la vita di Edward è un tre quarti di tragedia.
Per il resto, le storie che vedono Eddie redento sono piuttosto piatte, ma è una crisi che coinvolge tutta la DC, che piano piano perde i suoi autori di punta mentre i personaggi perdono di umanità, con le barriere tra bene e male che si fanno più nette e che culmina con la tragedia, ovvero la New52, una ripartenza da zero di una bruttezza tale che andrebbe studiata nelle scuole di scrittura, con tutta una serie di storie che prendono il peggio della trilogia nolaniana, ovvero i pipponi e una magniloquenza stucchevole e demente, e ignorano il buono, ovvero un piglio autoriale deciso e sicuro, un carattere che può non piacere ma che si dimostra solido e non privo d’immaginazione.
In questo periodo mi allontano dai fumetti con Eddie ancora nel cuore, e gli auguro che qualcuno si prenda cura di lui nel modo che merita.
Questo qualcuno arriva verso la fine degli anni Dieci del nuovo millennio, si chiama Matt Reeves e ha girato il film sto guardando il 5 Marzo. Dal mio ultimo contatto con Eddie sono successe diverse cose, tra cui la morte di mio padre e un periodo di terapia con un altro psicoterapeuta per superare crisi di panico e di pianto che, di nuovo, stavano diventando invalidanti. Anche lui, come il primo, mi parla di severa deprivazione affettiva nella prima infanzia, mi insegna tecniche per superare le crisi più stringenti e mi consiglia di vedere anche uno psichiatra. Io supero quello che devo superare e vengo a patti con il resto, e alla fine, com’è giusto che sia, ritrovo un Eddie più giovane di me, incarnato da un attore talentuoso come Paul Dano e pieno dell’intelligenza e della rabbia che mi hanno fatto tifare per lui fin dall’inizio, e infatti sono di nuovo dalla sua parte, con il mio compagno che dice “Ma ha ragione lui!” e lo stesso gli accompagnatori delle bimbe del #TeamEdward.
Quando l’Enigmista dice a Batman “Ti facevo più intelligente di così” sento una voce dietro di me che dice “E ci vuol poco, a essere più intelligente di così”, e ha ragione, perché la storia del “rata alada” è di una semplicità imbarazzante, una cosa che abbiamo capito tutti subito, e si sarebbero potuti tagliare tranquillamente tre quarti del film, ma diamine, Eddie vale la visione, e anche se mezz’ora di presenza su tre ore di film è un po’ pochino, il mio eroe SPACCA.
Ora, The Batman è un film pieno di difetti, ma ha un notevole stile e un carattere molto ben definito, soprattutto nella costruzione dei rapporti tra i personaggi. Aldilà della ridicola storia del “rata alada”, anche il piano finale dell’Enigmista è attaccato con lo sputo, non c’entra nulla con quanto visto prima, è un pastrocchio di giustizia sommaria che stride in maniera fastidiosissima con il metodo e la pianificazione perfetta che il nostro ha mostrato fino a quel punto. Mi viene il sospetto che l’ultima parte di film sia stata aggiunta di fretta e furia, perché il pubblico simpatizzava troppo con il cattivo della situazione, tanto più che il dialogo in manicomio tra il nostro e Batman fa pendere la bilancia decisamente dalla parte di Eddie, che, con mia somma gioia, ritrova quella rabbia, quel senso d’ingiustizia, di tradimento e abbandono che lo ha caratterizzato nelle sue versioni più riuscite, unito a quell’intelligenza fredda e a quel cuore bollente che lo rendono vero e umano; soprattutto il nostro ha quell’onestà totale, disperata e priva di idealismi, disarmata e disarmante, che svela le ipocrisie dello stato delle cose e di chi vorrebbe difenderlo, ovvero Batman, con il quale il nostro ribadisce un rapporto complesso e ambiguo, che, a mio parere, va oltre al “Noi non siamo così diversi” di rito, e che mi fa gongolare come una scema e mi fa ben sperare per il futuro.
Oltre a questo, sto anche recuperando qualche fumetto. Nello specifico, Catwoman Lonely City, che ritrae il nostro come un vedovo cinquantenne con figlia a carico e ci rivela che Eddie, nel periodo in cui era un criminale con lo spandex, aveva problemi con l’alcool ed era costantemente strafatto di cocaina, e Dinner for two, una dove abbiamo la conferma della bisessualità di Edward e che si conclude con un brindisi di San Valentino condiviso con Batman, con tanto mazzo di rose e sciccosissimo tavolo per due preparato su un tetto.
Insomma, cose che i fan di Edward sapevano già, ma che fa molto piacere vedere confermate.
Chiara Lecito