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Ho rivisto Poltergeist a quarant’anni.
Stavolta non su una videocassetta consumata, ma in HD, godendo del faccino nitido della protagonista, così scevro dall’inquietudine che avrebbe dovuto avere mentre qualcuno sussurra il suo nome dall’aldilà. Carol Anne nel film ha cinque anni. Io ne avevo cinque quando l’ho visto per la prima volta. Mia figlia, ora, ne ha cinque anche lei. Ma non potrei farglielo vedere perché è vietato ai minori di sedici – eppure chi, nei fluorescenti 80’s, non si è goduto Poltergeist ben prima dell’adolescenza?

Nonostante l’impegno, ogni tentativo di non farmi sopraffare dalla malinconia del caro e vecchio horror dell’epoca d’oro è stato vano. Poltergeist è così come lo ricordavo: zeppo di rimandi alle paure più ancestrali, angosce sovraccariche di simboli che la mia generazione ha assimilato ancor prima di digerire, e che hanno irretito la griglia distorta attraverso la quale, da quel momento in poi, si è guardato al panico ipnagogico – Freddy sarebbe arrivato giusto un paio di anni dopo.
La trama in breve di Poltergeist I (Tobe Hopper, 1982): c’è una famiglia americana con tre figli, la cui la più piccola (Carol Anne) è in contatto con gli spiriti maligni che le parlano attraverso la tv. Dopo aver sottovalutato segni evidenti di presenze oscure nella casa, i genitori lasciano la bambina da sola in camera con il fratello, e lei viene rapita dai fantasmi della casa, che la inglobano nello stanzino.
Eccola di nuovo lì, Carol Anne, portatrice di luce, come le anime che scendono le scale a rallentatore, come il canale della televisione che traballa, come lo sgabuzzino che acceca e che risucchia; è un abbaglio che catalizza dell’attenzione, un lampione fisso, e noi spettatori falene meditabonde.

Al di là del fatto che ci sia o meno Spielberg dietro la macchina da presa in mano a Hopper – oltre che alla sceneggiatura –i frammenti che hanno traviato l’immaginario della mia generazione sono cinque:

1) LA TV IN PANNE
L’icona stessa del film, ovvero il canale assente sullo schermo. Curiosamente, poco prima che la tv si oscuri – di solito di notte – è in onda la sigla dell’inno americano. Un susseguirsi di immagini patriottiche e bandiere che sventolano. E poi, la brusca interruzione. La televisione è attraversata da righe tremolanti; Carol Anne si inginocchia e ci poggia le manine sopra “They’re here”(per fortuna che oggi c’è il digitale terrestre, perché ho passato anni a cambiare canale se c’erano interferenze).

2) I TEMPORALI MAGNETICI
Nubi compresse e ombrose, immagini pareidoliche – non le sole – che appesantiscono un’atmosfera pastorale; la tempesta che si avvicina, losca, portandosi appresso un sentore di sciagura. E poi il bilanciamento rassicurante del padre, Steve, che insegna al figlio, Robbie, a contare i secondi che separano il lampo dal tuono. Più lunga è la conta, più il temporale si sta allontanando. Uno, due, tre, quattro. (La conta dei secondi è un metodo di cui non ho – e non voglio – appurare l’efficienza, ma che tuttora uso durante le tempeste).

3) ALBERI CHE PROIETTANO OMBRE
Robbie, il più pauroso e perculato della famiglia Freeling, osserva l’enorme albero che domina il cortile illuminarsi con i lampi. I lunghi rami assomigliano a dita – papà, sembra che mi voglia prendere, confessa. Vicino alle radici della pianta, c’è una fossa quadrata che diventerà una piscina – ma che, per tutta la durata del film, è e rimane una fossa. Mentre si avvicina una tromba d’aria, l’albero spacca la finestra e strappa il povero Robbie dal letto, tirandolo a sé per poi cercare di ingoiarlo.
(“Quel cazzo di ramo che sbatte. Ora lo taglio.” Ha detto mia madre rivolta al giardino, dopo aver visto il film).

4) IL CLOWN SOTTO IL LETTO
Associazione, questa, di due spauracchi a sé – il pagliaccio e il mostro sotto Il letto. Non basta che i Freeling si siano divertiti con la scoperta di fenomeni paranormali in casa – be’, sì, il pregio del film sta anche nell’alternanza di ansia a sfottò – ma proprio un pupazzo così inquietante dovevano comprare? E metterlo, a spregio, sulla sedia davanti ai bambini? Illuminato a tratto dai lampi, il clown sparisce dalla vista di Robbie. E da dove spunta fuori? (il lenzuolo tirato su fino alle orecchie e niente pupazzi con lo sguardo rivolto al letto, regole sempre attuali).

5) I MOSTRI NELL’ARMADIO
C’è una porta socchiusa nella cameretta, dove la luce rimane sempre accesa (ebbene, qui non è il buio a far paura), ed è proprio lì che si rimpiattano le demoniache presenze. Mentre Robbie viene rapito dall’albero, la porta della stanza si spalanca e aspira – letteralmente, come un aspirapolvere con un motore a reazione – tutto ciò che c’è nella stanza, compresa la povera Carol Anne, che poi si non si troverà più. Luce era e luce è tornata, l’angioletto biondo, sparito da qualche parte tra lo sgabuzzino e il tubo catodico (menomale che in Italia non abbiamo spazio per per i guardaroba in camera da letto).

Non è necessario sapere che gran parte del cast di Poltergeist abbia fatto una brutta fine – come accadde per quello de L’Esorcista – perché di questo cult anni ’80 permane un’impronta indelebile; passi intrapresi quando eravamo bambini, ormai calcificati, pronti a essere ripercorsi da capo, con piedi di misure diverse, ma carichi dello stesso atavico terrore.

(Beatrice Galluzzi)