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IL MENU’ DEL CAZZO
(Io alzo il mio bicchiere; non so a che cosa,

ma alzo il mio bicchiere)

APERITIVO
Vidi La grande abbuffata (Marco Ferreri, 1973) per la prima volta che avevo circa sedici anni, e pensai che era il film perfetto da guardare prima di mettersi a dieta; da quando l’ho visto non ho più mangiato paté, e adesso mi ritrovo a fantasticare su un rifacimento nel quale i protagonisti si occupano del benessere psicofisico della persona e sono tutti vegani.
Mi sono innamorata perdutamente, del regista e del film, di cui è estremamente difficile enucleare frammenti perché proprio la sua struttura è frammentata: non esistono scene di raccordo, o di passaggio, e ogni sequenza si conchiude e si realizza in se stessa, raccogliendo, spandendo e rilanciando tutto il senso di tutta l’opera.
Mi ha sempre dato un enorme fastidio leggere che uno dei maggiori capolavori di Marco Ferreri sia una condanna alla società dei consumi o una critica al decadimento dei valori morali, perché in realtà è un’opera secondo me molto più radicale, ovvero un saggio sulla perdita di senso del corpo e delle sue funzioni, che solo dopo si rivela una perdita di senso dell’essere umano.

ANTIPASTO IN QUATTRO ASSAGGI
Ugo (il Cibo)
Com’è venuto il tacchino? Bello. Troppo bello. Sembra perfino falso.
Michel (l’Arte)
Per i lavori di casa, i guanti sono fondamentali. Morbidezza e resistenza. Morbidezza per il contatto con la materia, resistenza per il lavoro.
Marcello (il Sesso)
Tu sei più fortunata, puoi farlo rotolare. Ecco, brava!
Philippe (la Legge)
Tu mi violenti sempre.

Il film inizia con una laconica quanto efficace presentazione dei quattro protagonisti: Ugo (Ugo Tognazzi) è un cuoco di alto livello che si prepara a passare un fine settimana lontano dalla moglie, con cui ha un rapporto che intuiamo gelido, portandosi dietro i suoi migliori attrezzi.
Michel (Michel Piccoli), un produttore televisivo, che sistema le cose al lavoro per passare un po’ di tempo in solitudine e ritrovare sé stesso. La sua assistente gli ha procurato detersivi e strumenti per pulire la casa, quindi lascia l’appartamento alla figlia che gli chiede di scritturare un ragazzo come ballerino; lui osserva l’uomo con uno sguardo indecifrabile e canticchia.
Marcello (Marcello Mastroianni) è un pilota di linea, e fa trasportare delle forme di parmigiano al suo assistente a alle sue hostess; accenna a una vacanza.
Philippe (Philippe Noiret), un giudice, dice a Nicole, una donna che vive con lui, che partirà per un convegno di lavoro e lei lo accusa di essere un bugiardo e di aver ricominciato ad andare a donnacce; scopriamo poi che Nicole è la balia dell’uomo, e che ha con lui un rapporto morboso; lei gli dice che non ha bisogno delle altre perché ha lei, quindi lo masturba. Infine vediamo i quattro uomini in macchina, Ugo e Marcello mangiano, Michel chiede loro di condividere, e arrivano a una villa fatiscente. Il piano è rimanere lì a mangiare prelibatezze fino a morire.

PRIMO PIATTO
(Io sono un maniaco sessuale. Voi vi state eccitando a un funerale)

I nostri protagonisti, tranne Michel, sono a tavola, mangiano in penombra. mentre mangiano scorrono, proiettate sul muro, immagini erotiche d’epoca, passione di Philippe; Ugo commenta, con toni che oscillano tra il volgare e l’estetizzante, le varie immagini che compaiono davanti ai loro e ai nostri occhi. A un certo punto, Ugo e Marcello fanno a gara a chi mangia più ostriche in minor tempo. Ugo le ingurgita con velocità e rumina, Marcello è più metodico, ne mangia a gruppi di quattro, e vince. Poco dopo Marcello fa l’affermazione di cui sopra e passa delle foto delle sue hostess a Ugo, che commenta deliziato e finisce per baciare “l’ostrica” di una delle foto. Philippe sembra disinteressato alla faccenda, e alla fine arriva Michel, che butta un’occhio alle foto delle hostess ancora sul tavolo e commenta laconico “Carine”. In tutto ciò, i nostri non smettono di mangiare.

La cosa interessante di questa scena è l’atmosfera, tetra ma senza essere cupa, disumanizzata, come i sessi di De Sade, come le macchine scopanti di Choderlos de Laclos, come i manichini di Marivaux. Il fatto che il personaggio porti il nome dell’attore che lo interpreta comincia ad acquistare un senso che va oltre il gioco che si ipotizza all’inizio: la trovata comincia ad avere uno spessore che si intuisce programmatico, e i personaggi non hanno spessore o caratteristiche proprie, ma diventano fredde caricature di coloro che li interpretano, pure immagini mortuarie; si comincia a mangiare sul serio, e le cose cominciano a farsi chiare.

SECONDO PIATTO CON CONTORNO DI PURÈ MEDICAMENTOSO
(Se tu non mangi tu non puoi morire)

Michel si sente male, ha crampi allo stomaco che si concludono con un attacco di aerofagia devastante; Ugo ha preparato un purè che serve agli astanti, compreso Michel che sta per esplodere, Marcello ha gli occhi fuori dalle orbite, ride, aveva ipotizzato che il primo ad andarsene sarebbe stato Philippe, le prostitute chiamate a intrattenere i protagonisti non ne possono più di mangiare senza interruzione (una li ha già abbandonati) e l’enigmatica maestra Andrea che si è unita al gruppo assiste gustandosi il pasto. Michel non è in grado di muoversi, e viene imboccato da Ugo che, per la prima volta, parla esplicitamente del mangiare fino a morire.
Verrebbe da dire che da questa scena in poi comincia la fase discendente del film, ma non si può, perché una fase ascendente non c’è mai stata: i quattro cominciano semplicemente a confrontarsi con le complicazioni corporee del loro progetto, e non è un caso che sia Ugo, il cuoco, a tenere le redini della situazione, mentre Marcello comincia a dare i primi segni di squilibrio: l’organismo si ribella, o almeno ci prova, e la mente si annebbia, ma la marcia proseguirà, implacabile e decisa, con l’unica defezione di Marcello, l’unico dei quattro che tra il sesso e il cibo preferisce il primo. Non c’è imbarazzo o desiderio o sentimento che tenga, non c’è progettualità se non quella di morire e il gioco finalmente si fa chiaro.

DESSERT
(Mettetela in giardino)

I quattro protagonisti sono morti, e nel frattempo è arrivato un altro carico di carne di primissima scelta; la maestra Andrea, che ha vegliato con discrezione e sensualità su tutti, è rimasta sola e, dopo aver osservato uno dei macellai che butta maiale sugli alberi ridendo come un matto, rientra in casa. A fare cosa non si sa, e noi restiamo lì a guardare scorrere i titoli di coda.
Fine.

DIGESTIVO
La grande abbuffata è il più grande successo commerciale di Marco Ferreri e probabilmente il suo film più ideologico e allegorico. Mi piace collegarlo a Il fascino discreto della borghesia (Luis Buñuel, 1972), dove i sei protagonisti non riescono a consumare un pasto.


(Chiara Lecito)