Non ti amava nessuno, hai capito? Non ti amava nessuno.
(Baby Jane Hudson)
Cito a memoria, da una poesia di Sylvia Plath, di cui non ricordo il titolo, un verso che non se n’è più andato, che dice, più o meno: l’amore ti ha messo in moto come un orologio da taschino. Penso: proprio vero, c’è qualcosa nell’amore che ti trasforma in una macchina, qualcosa che ti muove oppure ti paralizza, chissà per quanto tempo, e poi, come niente fosse, uno scatto in avanti e di nuovo ci sei, e così avanti, fermo, uno scatto dopo l’altro, finché dura il carburante. Questa è la storia delle sorelle Hudson. Una di loro, per mancanza d’amore, resta paralizzata, l’altra continua a muoversi senza mai fermarsi, a muoversi senza sosta fino alla fine, ma come un fantoccio.
INTRODUZIONE
Il film inizia con il pianto di una bambina, spaventata da un pupazzo a molla, un fantoccio meccanico antropomorfo, nato per divertire, che però spaventa. La voce fuori campo di un uomo dice alla bambina:
Vuoi vederlo un’altra volta? Non avere paura.
Ma la bambina piange sconsolata, poi, in controcampo, ci viene mostrato di nuovo il pupazzo, il fantoccio vestito da pagliaccio e un sorriso dipinto sul viso, e vediamo ora che anche lui sta piangendo. Questo brevissimo prologo è il modo in cui Robert Aldrich ci introduce a uno dei suoi film di maggior successo, il leggendario What Ever Happened to Baby Jane? (1962), tratto dall’omonimo romanzo di Henry Farrell, con cui Aldrich riesce a portare insieme sullo schermo Joan Crawford e Bette Davis, le due grandi star del cinema classico hollywoodiano che da quel momento in poi vivranno una nuova seconda carriera, questa volta come protagoniste di pellicole nere, horror e angoscianti. Prima dei titoli di apertura del film, però, non vedremo le due star in azione. Il prologo è ambientato nel 1917, quando le due sorelle Hudson sono ancora solo delle bambine. Bette e Joan arriveranno dopo, quando Blanche (Joan Crawford) e Jane (Bette Davis) sono già vecchie e vicine al momento in cui l’una distruggerà l’altra e viceversa. Ma questa breve introduzione ci dice già tutto quanto c’è da sapere: la vita della bambina prodigio Baby Jane Hudson è quella di una marionetta, una bambina trasformata in un’ insolente rosea bambola animata tutta fiocchi e boccoli, che balla il tip-tap in un teatro pieno di gente, con il capo indorato dalla luce. Una bambola nata per divertire e lasciarsi amare, che però ti fa piangere. Coccolata dagli applausi, la piccola ballerina di Duluth mantiene la famiglia intera grazie ai suoi spettacoli e alla vendita della famosa e inimitabile Bambola Baby Jane, una sua riproduzione a grandezza naturale, disponibile a 3 dollari e 25 all’ingresso del teatro. Baby Jane è una piccola dominatrice e prima di tutto è la gioia del papà, il suo angioletto biondo, e anche il suo miglior investimento, e ha una madre, che mai nominerà per tutta la durata del film, alla quale non la vedremo rivolgere neanche uno sguardo nelle poche scene in cui compare, e una sorella, Blanche, di poco più grande di lei, taciturna e dimessa, ma anche furente per le umiliazioni che deve subire a causa della completa dipendenza dell’intera famiglia dalla bizzosa Jane.
A una prima visione del film e fino a poco prima della fine, quando ero anch’io una bambina, io ero con Blanche. Non era possibile essere dalla parte di qualcun altro. La piccola Blanche, con le trecce ordinate e gli occhi bassi, l’insignificante Blanche, ferma dietro le quinte del teatro, che assiste inerme allo spettacolo insostenibile di un amore familiare da cui è esclusa, che deve sopportare i capricci e il caratteraccio della sorella a cui tutto è permesso, attira subito le mie simpatie. Spero riesca a vendicarsi di Jane e di suo padre e anche della madre, così silenziosa e remissiva. Tifo per Blanche. Lei è il bambino odiato delle favole, la creatura estranea alla famiglia, vittima di una terribile ingiustizia, portatrice di una ferita insanabile. Sono dalla sua parte quando, ancora bambina, giura di restituire il male che le viene fatto, quando, con un moto di rabbia, giura a se stessa che sopravvivrà, senza dimenticare le parole di suo papà, il suo sguardo freddo che sempre si è posato su di lei solo per rimproverarla, anche quando non aveva colpa di nulla. Il papà che dice sempre: brava Jane, brava, così, anche quando Jane fa i capricci e pesta i piedi perché vuole un gelato, perché anche allora il papà la accarezza con lo sguardo, e l’accontenta, a discapito di Blanche la taciturna, la musona, che il gelato non lo vuole, perché sa che anche di quello è debitrice a Jane, solo a lei. Provo pena per Blanche che osserva Baby Jane prendere tra le braccia il suo simulacro, la bambola che ha la sua stessa faccia, e sente di essere stata sconfitta per sempre, doppiamente sconfitta. E capisco che non può nulla contro di lei, contro i suoi vestiti graziosi, il capo infiocchettato, il sorriso artefatto, tutti quei merletti e quelle moine. L’amore è tutto per Baby Jane e la sua bambola favolosa. Jane è ovunque nel cuore del padre e in quello dei suoi piccoli ammiratori.
Amici, avete mai visto una bambola simile?
SGUARDI
Quasi fino alla fine del film sarò dalla parte di Blanche, ma poi piangerò per Jane. È una questione di sguardi.
Già dall’inizio Blanche e Jane non fanno che guardare loro stesse allo specchio, o in televisione, e soprattutto rivedere sé stesse negli occhi l’una dell’altra. Chi è Baby Jane vista dagli occhi di Blanche e chi è Blanche vista da Baby Jane? Quando sono bambine Blanche legge in quegli occhi vividi e bellissimi la sua irrilevanza e per questo la odia. In seguito, quando saranno trascorsi tanti anni e ritroveremo le due sorelle ormai anziane – Blanche famosissima attrice hollywoodiana che a causa di un non meglio specificato incidente si è ritrovata paralizzata e Jane, ex bambina prodigio che vive alle spalle della sorella – anche Jane leggerà il suo fallimento negli occhi di Blanche. Ora Baby Jane è diventata la folle Baby Jane, la vecchia scarmigliata, ubriaca già dal mattino, che ogni giorno vede la sua caduta riflessa negli occhi della sorella, proprio come un tempo vi poteva leggere lo sfolgorio del suo trionfo. In questo film di Aldrich gli sguardi sulle persone e le cose agiscono come mossi da una nostalgia distruttiva che cerca di liberarsi del passando lasciando che che i ricordi si infiammino, fino a incenerirli.
BABY JANE
Io mi metterò a ballare sulla spiaggia e si radunerà una gran massa di gente a guardare, una gran folla intorno a Baby Jane Hudson.
L’ex bambina prodigio Baby Jane Hudson non sa vivere senza gli sguardi del suo pubblico ma quegli occhi adoranti ora inseguono solo le sembianze, filmiche, di sua sorella Blanche, un tempo una vera diva di Hollywood, ora una vecchia indimenticata gloria del cinema, non una meteora, una vera attrice, che ha interpretato tanti film di successo, mentre Jane, al contrario, è stata solo una promessa non mantenuta, lo zimbello delle produzioni cinematografiche. Jane Hudson è uno scarto dell’industria dello spettacolo e guardando la maschera del suo volto troppo truccato chiunque stenterebbe a riconoscere la bellissima bambina capricciosa e volitiva che è stata. Ma Jane è sempre lì, anche se è diventata brutta, con i capelli di stoppa, gli occhi cerchiati di nero. Bette Davis la fa rivivere sullo schermo sovrapponendo il disfacimento del corpo, e della mente, al un piglio sempre insolente e capriccioso delle sue battute, a certi sguardi di sbieco, occhiatacce, a un movimento del capo, un battito di ciglia, un sorriso sprezzante appena accennato.
Baby Jane Hudson rivive nelle pose civettuole che Jane assume davanti a un uomo che le piace, nel tono canzonatorio che usa con la sorella, nei sogni fuori fuoco, nelle fantasie da bambina mai cresciuta che vuole tutto e subito e che ascolta sul serio solo la sua bambola. Nonostante la posa grottesca, la malvagità di alcune azioni che le vediamo compiere sulla scena, Jane resta la bambina altezzosa che è sempre stata, con i suoi desideri imperiosi la mancanza di tatto, l’egoismo, le bizze. Con la sua interpretazione Bette Davis riesce a rendere una traccia tangibile di spontanea gioia e vitalità dentro la disperazione e la paura. Baby Jane è sempre lì, non è andata avanti, è sempre rimasta al suo posto, con indosso lo stesso abito, con in testa lo stesso motivetto romantico dedicato al papà.
Nella sua testa si susseguono sempre identiche le repliche del suo storico spettacolo ma nessuno lo immagina, lei è ancora in piedi, a calcare le scene del suo palco immaginario, sono gli altri, tutti quelli che non l’hanno mai amata, che hanno smesso di vederla. Questa è una storia di sguardi che invertono la rotta. Jane non è sparita, è sempre lì, nella casa in cui vive con la sorella, la villa lussuosa con le finestre sbarrate, un luogo un tempo elegante ora antiquato, prima invaso dalle voci di chi partecipava al successo di Blanche ora silenzioso, destinato a contenere solo la voce orrenda bruciata dall’alcol di Baby Jane e quella falsamente calma e impostata di Blanche.
BLANCHE
Proprio come Jane anche Blanche è rimasta ferma e si trova sempre al medesimo posto.
Blanche non dimentica il passato e ciò che la sorella ha fatto per lei.
Nel film, la prima volta in cui la vediamo da adulta, Blanche è una bella signora sulla sedia a rotelle che si emoziona guardando sé stessa e la sua interpretazione in un vecchio film. Quando non si scrutano a vicenda gli sguardi delle sorelle Hudson sono sempre rivolti verso loro stesse. Anche Blanche è rimasta ferma, paralizzata nel passato. Così come Jane è sempre, anche sotto le spoglie della vecchia strega, una bambina capricciosa che vuole tutto, Blanche, con la sua aria pacata ed elegante, resta la stessa bambina che reprime i suoi sentimenti, che subisce il disamore in modo passivo, trasformandolo in rancore, la stessa creatura di sempre, silenziosa e schiva, che, apparentemente, non vuole nulla per sé. Ma sotto le pose superficiali che delimitano il suo personaggio le cose stanno diversamente e la regia di Aldrich sceglie di mostrarci per la prima volta Blanche interpretata da Joan Crawford in una scena in cui lei, rivedendosi in un vecchio film, si commuove alla vista del suo simulacro, così elegante e così splendido, capace di riscuotere tutta l’approvazione di cui lei ha disperatamente bisogno per continuare a vivere. Blanche appare sempre composta, misurata, stupita dall’eccentricità di Jane, desiderosa di non turbarla, ma tutto è duplice in questo film, così anche le sue parole, la maschera di composta eleganza che la Crawford ha impressa sul viso mentre con i modi di chi vuole solo dispensare al prossimo le sue amorevoli cure informa Jane che ha intenzione di vendere la vecchia casa di famiglia per trasferirsi altrove, magari senza Jane, nel frattempo ricoverata in una clinica psichiatrica. Joan Crawford dà vita con la sua resa del personaggio a una donna doppia, a tratti perversa, in cui la dolcezza nasconde un cieco istinto di rivalsa e un odio profondo per la stessa persona che dice di amare.
AMBIGUITÀ
Io non capisco, ma per chi li costruiscono mostri simili?
Per Blanche Hudson.
Sono passati anni da quando abbiamo assistito, all’inizio del film, a uno di quegli spettacoli in cui Baby Jane Hudson con il vestitino candido e inamidato cantava, volteggiando tra le braccia del papà, la romantica (fin troppo) I’ve written a letter to Daddy, il tema musicale del film, l’idea ricorrente che accompagnerà Jane in tutte le tappe della sua avanzata verso il crollo psicotico. Oggi, nel buio di una sala cinematografica, Jane riceve una bocciatura inappellabile da parte dell’industria cinematografica. Messa sotto contratto solo per onorare una clausola voluta a tutti i costi dalla ben più famosa e ricercata sorella, Jane si vede chiudere le porte in faccia dal mondo del cinema, che la deride la sua mancanza di talento e la condanna per i suoi eccessi alcolici. Jane è cresciuta e, come dice uno dei produttori incaricati di visionare il girato dei suoi film: “Ha una maniera di recitare che sembra una marionetta.” Siamo ancora nel prologo del film, prima dei titoli di testa, Blanche e Jane sono ancora giovani, delle giovani donne, e infatti noi non le vediamo sullo schermo, se non nella veste di filmati di repertorio nei quali possiamo riconoscere scene di film interpretati da Joan Crawford e Bette Davis nel corso della loro carriera. Jane ora, a detta di chi vede i suoi provini: è uno strazio senza fine. Blanche, al contrario, è un’interprete sublime, un’attrice di razza che può scegliere i suoi progetti senza difficoltà e così influente da obbligare i produttori a scritturare anche sua sorella, a produrre filmetti in cui lei dà scarsa prova di talento, che non usciranno mai dalle sale. Perché, si chiedono in molti, Blanche continua a imporre sua sorella Jane, così priva di talento e autocontrollo? La risposta è in una battuta di dialogo che, come ogni altra cosa in questo film, è allo stesso tempo completamente vera ma anche quanto di più lontano ci sia dalla verità.
Blanche non dimentica il passato e ciò che la sorella ha fatto per lei.
Proprio così, Blanche non dimentica nulla, ma il senso di ogni cosa in questo film è duplice, ambiguo. Doppio è il volto di Jane, replicato nella bambola che porta il suo nome. Doppie sono le parole amorevoli con cui Blanche la tiene a bada, celando sotto le sue premure un disumano istinto di rivalsa che si realizza nella disperata necessità che Jane resti per sempre una sinistra marionetta nelle sue mani, la bambola umana che ha divorato l’amore paterno, che è stata un mostruoso oggetto di prevaricazione, l’oggetto che l’ha messa in secondo piano e umiliata, che ora Blanche vuole avere tra le sue mani, per avere l’occasione di distruggerlo una volta per tutte.
Ma anche Blanche, dopo l’incidente, è diventata una marionetta nelle mani di Jane, e il film racconta proprio la doppia faccia della dipendenza fisica e affettiva. Così come Blanche è stata distrutta in passato dalla dipendenza da Jane e Jane lo è stata altrettanto quando è stata Blanche a prendere il comando, ora che Blanche è costretta su una sedia a rotelle il potere è tornato, in queste lunghe nere giornate raccontate nel film, in mano a Jane, che, per il tempo che durerà il folle assedio in cui costringe se stessa e la sorella, potrà decidere cosa Blanche dovrà mangiare, con chi dovrà parlare, fino al parossismo di violenza e prevaricazione che porterà Jane a privare Blanche della vita stessa.
Tutto è doppio in questo film. La scala per cui vedremo tante volte salire Jane, con quell’aria sfatta e disperata è anche quella che Blanche non riesce a scendere per arrivare al telefono, che per lei rappresenta la salvezza. Ma è anche simbolo che racconta la scalata verso la notorietà, che Blanche ha intrapreso con successo e che invece ha portato Jane in basso, verso una caduta rovinosa. L’idea musicale che percorre tutto il film, il motivo di I’ve written a letter to Daddy è il motivo che racconta la follia di Jane ma è anche l’accompagnamento musicale che segna l’emersione del senso di colpa di Blanche, una melodia che ricorda a entrambe le sorelle quello che è stato amato da una e subito dall’altra, ma che è stato anche spezzato e distrutto. Gli sguardi gettati nel passato portano amore e gratificazione a Blanche, che si rivede bella e al massimo dello splendore nei meravigliosi ruoli che ha interpretato, ma gli stessi ricordi precipitano Jane nell’abisso del ricordo di una bellezza e di un talento che non le apparterranno mai più. Le cose che brillano nascondono la morte.
Quando Jane serve a Blanche il pranzo o la colazione, sotto il portavivande perfettamente lucidato si nascondono animaletti morti, prima il piccolo uccellino a cui Blanche vuole bene, anche se lo tiene in gabbia, poi un topo morto, uno di quelli che Jane ha trovato in cantina. Le due sinistre pietanze sono annunciate dalle parole di Jane che, ancora una volta, hanno un significato doppio, quello letterale e quello nascosto. Quando Jane comunica a Blanche che l’uccellino è volato via, le sta dicendo che l’uccellino è volato via dalla gabbia di amorevolezza in cui Blanche lo teneva segregato, ma per farlo ha dovuto morire, proprio come Jane, che vive come un animaletto selvatico nella gabbia costruitale intorno da Blanche, e che per evadere e volare via dalla sua influenza è diventata folle. Anche prima di servirle per pranzo il topo morto Jane dice semplicemente a Blanche ci sono i topi in cantina, e questa è la verità, ma Jane intende anche dire che qualcosa di nuovo è penetrato nella loro casa e quel qualcosa, la sua follia, è il cibo che ora Blanche dovrà mandare giù, se non vuole morire di fame, è quello di cui la stessa Jane è stata nutrita per anni e che ora anche Blanche dovrà sperimentare: un cupo folle risentimento, il passato morto ma mai sepolto, che ha spezzato Jane, che ucciderà Blanche. Quando Jane arriva a dare da mangiare un topo morto a sua sorella Blanche il punto di rottura è stato raggiunto. Mentre Jane si abbandona a una delirante risata vediamo Blanche prendere consapevolezza del pericolo che sta correndo.
Davanti all’ultima provocazione di Jane e alla sua folle risata Blanche capisce che Jane ha definitivamente perso la testa, e questa consapevolezza la raggela. Una ripresa dall’alto ce la mostra sulla sedia a rotelle mentre gira convulsamente in tondo, realizzando un vortice di disperazione che la inghiottirà, proprio come se la follia di Jane fosse ormai capace di divorarla. Dopo quella scena, che segna il suo crollo psicotico, Jane lei tornerà a essere definitivamente e per sempre solo la piccola prodigiosa Baby Jane Hudson. Vedremo ricomparire in scena Bette Davis completamente agghindata come una mostruosa copia della bambina che abbiamo visto al principio, che ora ha gli stessi boccoli, e indossa lo stesso vestito, ma il volto, il corpo e la voce sono quelli di una vecchia. Le parole, così come gli sguardi, sono quello che sono e sono altro, la verità si affaccia negli interstizi di un’intenzione taciuta, di un’emozione repressa, di una verità inaccettabile che è stata tenuta nascosta e che verrà svelata solo alla fine.
CORPI SENZA TESTA
Jane io sto morendo, non c’è più tempo, devi ascoltarmi.
(Blanche Hudson)
Questa è la storia di una vendetta irragionevole. Le due sorelle protagoniste si muovono quasi senza ragionare nel corso del tempo e sulla scena. Solo dopo la fine del film capiremo che in ogni singola scena che abbiamo visto abbiamo commesso un errore nel distribuire i ruoli di vittima e carnefice. Abbiamo commesso questo errore perché abbiamo visto dei corpi in azione senza sapere mai a chi appartenevano i dettagli delle figure che si muovevano davanti alla telecamera, in una delle scene fondamentali del film al fine di comprendere cosa è veramente accaduto alle due sorelle Hudson.
La scena dell’incidente in cui Blanche resta paralizzata per sempre, la scena in cui apparentemente vediamo Jane alla guida investire la sorella è girata da Robert Aldrich in modo da raccontare tutto senza però rivelare il soggetto dell’azione. Aldrich ci mostra mani, piedi, corpi senza testa che commettono un crimine e così facendo lascia allo spettatore il compito di ricomporre un rompicapo che è nel racconto ma che da subito viene reso nell’immagine, anche questa, segno distintivo del film, segno di una verità parcellizzata e ambigua. Questa scena sembra raccontare, in realtà, il crimine che i personaggi hanno commesso contro loro stessi, che equivale a un tradimento di sé, uno scambio di ruolo che la regia di Aldrich racconta in modo formidabile.
Scopriamo così che Baby Jane Hudson è stata manipolata proprio come noi spettatori a partire da questa sequenza e che noi spettatori, proprio come Baby Jane, abbiamo creduto a un racconto fallace in cui le responsabilità individuali sono state completamente fraintese. Baby Jane non ha avuto fede nella sua verità e ha creduto a una ricostruzione impostale da Blanche, noi spettatori, allo stesso modo, abbiamo assistito alla storia delle due sorelle assumendo, senza neanche accorgercene, il punto di vista di Blanche, dando per scontato che fosse Jane la cattiva della storia, quella che aveva tentato di uccidere la sorella una volta e che ora ci stava provando di nuovo. Ma la realtà con cui ha dovuto convivere Jane, un racconto pieno di menzogne e contraddizioni, l’ha fatta impazzire, le ha fatto perdere la testa una volta per tutte ed è proprio questa completa perdita della ragione a costringere Blanche a confessare la verità. Che fine ha fatto Baby Jane? domanda il titolo del film. Il suo svolgimento è la risposta a questa domanda. Baby Jane è stata, come scopriremo alla fine, l’oggetto di una spregevole vendetta, silenziosa, meschina, protratta per anni, che ha il volto disteso e aristocratico della C, la voce pacata e gentile di Blanche, i suoi modi trattenuti. La sequenza dell’incidente si conclude con l’immagine della bambola Baby Jane in pezzi, con la testa fracassata in tanti frammenti sparsi in terra. Il prologo del film si apre con una bambola e alla fine questa bambola è rotta. Quello che vedremo dopo i titoli di testa è la conseguenza di questo incidente in cui il colpevole ha perso la testa senza che noi riuscissimo a vedere il suo volto. Una storia in cui le immagini si proiettano sullo schermo come le tante schegge di cui è composto uno specchio infranto. Inquadrature cariche di oggetti, di bambole, di vecchie foto, di bottiglie vuote, e mosse di danza, filmati di repertorio, fiori recisi sistemati in stanze percorse da lunghe ombre, in cui risuona un canto infantile che è dolce, stucchevole, sinistro, indecifrabile, come nel luogo in cui stagnano i ricordi e i pensieri attorno alle imperfette attribuzioni delle colpe individuali.
(Emanuela Cocco)